Strano è come le parole talvolta cadano giù simili
ad acquazzoni, per spugnare argomenti che potrebbero essere assai più
asciutti e meno scivolosi. Più chiari e più luminosi. Potrebbero essere
visti, insomma, al netto delle ombre proiettate sbadatamente dal solenne
pressappochismo mediatico.
Certi temi, del resto, vengono resi “spendibili”
grazie ai luoghi comuni, candide barricate d’ovatta, che di un argomento
permettono una fruibilità massima con una comprensione minima.
Accade così che nei più vari luoghi, dalle
trasmissioni sportive ai testi normativi dell’Unione europea, compaiano
riferimenti al razzismo, al fatto che vada rifiutato e che sia una vera
indecenza nei tempi moderni che viviamo, poiché esso sarebbe in sostanza un
anacronismo rispetto al numero 2000 – il quale, oltre a rappresentare il
nostro millennio, dicono sia anche una cifra abbastanza elevata e “dunque”
ragionevole.
Eppure, come il ragazzo sensibile ai temi
dell’ambiente si distrae tanto con il problema mondiale dell’acqua da
lasciare il rubinetto aperto, così l’antirazzismo è troppo spesso un
fervore privo di attenzione. Se la minaccia, per sopperire evidentemente alla
propria innocuità, si autoproclama minacciosa, l’indignazione sboccerà in
un tumulto apprensivo; se viceversa essa si veste di cravatte e camici dotti,
il pericolo passerà inosservato o addirittura sfilerà applaudito.
Perché, di fondo, ad un’analisi del razzismo, si è
preferito sempre il sensazionalismo giornalistico e politico che ha
contribuito alla creazione di una serie di pregiudizi incapaci di “muoversi
a tempo” e di comprendere la scaturigine del fenomeno in questione e tutte
le sue possibili fattispecie.
In tal senso, il breve saggio di Morganti rappresenta
un importante contributo allo studio di questo tema, andando ben più in fondo
delle cause superficiali generalmente riconosciute e ben oltre il periodo
1933-‘45.
Inoltre, i frequenti riferimenti ad un autorevole
studioso come Mosse ed il ricorso continuo alle fonti primarie testimoniano
una serietà ed un metodo troppo spesso assenti nelle analisi degli
accreditati professori “cartesiani”.
È dunque proprio grazie a questo approccio che
Morganti afferma che il razzismo moderno è una “malattia della cultura
europea”, poiché esso è germinato nel terreno profondamente europeo
dell’Illuminismo. Difatti, in questo clima culturale si nutrì una tale fede
nella mente da rendere il corpo una semplice emanazione della Ragione, una
sorta di superficie sondabile per trarre le capacità celebrali
dell’individuo e di interi popoli. Si giunse così alle “pseudoscienze”
della frenologia e della fisiognomica, antesignane delle teorie materialiste
del socialista Lombroso.
Tuttavia, per quanto concerne i contenuti metafisici,
il pensiero razzista difficilmente avrebbe potuto reggersi sul solo dogmatismo
razionalista, se in aggiunta non avesse attinto anche dalla realtà
dell’Europa post-Riforma.
Come è noto, la pace di Augusta (1555) sospese le
guerre europee di religione disponendo il principio cujus regio, ejus
religio e facendo così coincidere l’appartenenza politica a quella
confessionale. Inoltre, il protestantesimo evangelico, concentrando sempre più
l’attenzione del credente sulle emozioni umane intese come “sentire
comune”, attribuiva ad un gruppo territorialmente definito una spiritualità
esclusiva.
Questo canale sarà sfruttato dai razzisti che
crederanno di poter individuare con oggettività una razza e di
attribuirle una mistica quando scientismo ed appartenenza spirituale
“territorializzata” si uniranno in nefaste sintesi quale fu la Società
Teosofica statunitense (1875), che precedette quelle ispirate al principio
tedesco del Blut und Boden (“Sangue e suolo”).
Con l’aiuto poi di un’interpretazione
“estensiva” delle teorie di Darwin, si giungerà ad iniziative come il Boone
and Crockett Club statunitense (tra i suoi membri Theodore Roosvelt), che
si prefiggeva l’obiettivo di difendere la razza bianca anche attraverso
l’eugenetica, sicché, apprendiamo dal saggio qui trattato, «dal 1907, 31
stati dell’Unione [statunitense] adottarono leggi contro la contaminazione
delle razze, parallele restrizioni sull’immigrazione e programmi di
sterilizzazione coatta» (p. 29).
Sembra pertanto che il razzismo abbia attratto non
solo i sostenitori dei totalitarismi Novecenteschi, ma anche i socialisti ed i
liberali. Tanta trasversabilità e maneggevolezza del razzismo si spiegano
evidentemente con quella che è poi la tesi di fondo del saggio: da più di
due secoli il razzismo non si dispiega semplicemente nella Modernità
come lascito medievale, bensì si spiega con la Modernità stessa,
essendone figlio legittimo. Si comprende allora perché pensieri diversi ed
apparentemente configgenti l’abbiano sostanzialmente condiviso: essi avevano
«un retroterra filosofico largamente comune: comune materialismo filosofico,
comune mito del progresso tecnologico, comune adozione dell’ideologia
darwinista applicata alla società, comune riduzione degli aspetti più
elevati della vita dei popoli e delle persone (la cultura e la spiritualità)
al frutto dell’azione di elementi specifici, biologici e meccanici» (p.
41).
A questa affermazione si aggiunge la constatazione
della persistenza di politiche razziste ben oltre il 1945: nella svedese
sterilizzazione degli “inadatti” fino agli anni Sessanta, nel genocidio
tibetano, negli imperi coloniali nel secondo dopoguerra («il diritto
coloniale inglese giungeva a punire come un reato penale l’unione sessuale
di un bianco con una persona di razza diversa dalla propria» - p. 69) e
nell’eugenetica statunitense che dal 1909 al 1964 portò nella sola
California del sogno americano alla sterilizzazione, secondo dati ufficiali,
di 60.000 individui e all’internamento di un numero ancora maggiore di
“inadatti”.
Concepire programmi di questa portata, ed ovviamente
attuarli nonostante la sensibilità comune fosse relativamente simile alla
nostra, implica un’attribuzione di potere allo stato decisamente
spropositata e rispecchia – nota l’autore – la sostituzione dei vecchi
dei con la deificazione dello stato.
Di questo nuovo culto laico, il genocidio rappresenta
la manifestazione di massima potenza e libertà dalla morale. La micidiale
arma dello sterminio programmato con fredda e lucida strategia, con razionale
disposizione all’eccidio, ha trovato nella tecnologia del XX secolo un
alleato efficiente e fedele. Ciononostante, e a riprova di quanto
precedentemente detto circa l’origine del razzismo, il primo governo
legittimo ad aver deciso e tentato di massacrare un’intera popolazione
risale a quasi due secoli prima, e cioè all’anno in cui l’Assemblea
Nazionale della Francia rivoluzionaria votò nel 1793 la legge che
deliberava lo sterminio della popolazione vandeana.
Morganti cita il rapporto ufficiale che il generale
incaricato dello sterminio presentò alla Convenzione: «Secondo gli ordini
datimi ho fatto schiacciare i bambini sotto gli zoccoli dei cavalli,
massacrato le donne che almeno perciò non faranno più figli che diventeranno
briganti. Non ho prigionieri da rimproverarmi: ho sterminato tutti» (p.
79).
E nacque la Modernità.